A Caselle l’elicottero a “getto freddo” Fiat 7002
Il 26 gennaio 1961 all’aeroporto di Caselle, vola per la prima volta l’unico elicottero costruito dalla Fiat, il Modello 7002, un progetto anticonvenzionale se paragonato a quasi tutti i suoi confratelli nazionali ed internazionali. Già nell’aspetto esteriore, questo strano ed inusuale elicottero, era molto simile ad una grossa scatola ovalizzata, ma ancora più strano era l’impianto propulsivo, che utilizzava un originale sistema pneumatico a “getto freddo”, simile a quello dell’elicottero francese S.O. 1221 “Djin” della Sud Aviation, già legata alla Fiat da rapporti di lavoro riguardanti parti costruttive del rivoluzionario (per quell’epoca) bireattore di linea Se 210 “Caravelle”. Nel Fiat 7002, le due pale del rotore principale erano fatte ruotare da un potente getto d’aria compressa che usciva da due ugelli posti alle loro estremità; il così detto “getto freddo” che era generato dal gruppo motore Fiat 4700 da 550 CV gas di potenza massima al decollo (a quota zero). Questo propulsore era formato da un motore primario, costituito da un piccolo turbogetto (derivato dall’originario Fiat 4002, reattore ispirato in alcuni dettagli costruttivi, da modelli di estrazione inglese, come il Ghost della “de Havilland”), composto di compressore, combustore e turbina, che aveva lo scopo di generare gas caldi. Questi gas azionavano un seconda turbina, a valle della precedente, che era praticamente un turbogeneratore di aria compressa del tipo a turbina libera (turbina motrice meccanicamente indipendente dal gruppo compressore), installato verticalmente nella parte posteriore della cellula, una posizione insolita rispetto a quelli montati sulla maggioranza dei velivoli ad ala rotante. Quindi la turbina del motore primario e quella del gruppo compressore erano meccanicamente indipendenti. Ciò, oltre a creare vantaggi strutturali, consentiva di scegliere il valore ottimale del rapporto di compressione dell’aria del rotore, ai fini del miglior rendimento della trasmissione pneumatica. L’aria compressa veniva convogliata attraverso un collettore a chiocciola, mentre il collettore di scarico della turbina, diretto verso l’alto era anulare, e aveva una deviazione di 90° verso la parte posteriore dell’elicottero per utilizzare la spinta residua nella propulsione orizzontale. L’elichetta anticoppia di coda era mossa da una parte della potenza dello stesso generatore ed era intubata nelle prime fasi sperimentali, e libera dopo svariate modifiche apportate sempre sullo stesso prototipo, che rimase unico. L’elicottero, finanziato con il contributo del Ministero Difesa Aeronautico, era stato concepito come un velivolo di media capacità per trasporto passeggeri, ma la disposizione generale e la struttura erano state impostate in modo da permettere la massima adattabilità ai vari servizi a cui doveva essere destinato, tanto nel campo civile che militare (due piloti e sei soldati). Questo “scatolone volante”, disponeva di un rotore bipala principale del diametro di 12 metri, aveva una lunghezza di m 6,12, una altezza massima di m 2,98, una fusoliera larga m 1,40 e alta 1,90, un peso a vuoto di kg 675 (1.400 a pieno carico), una velocità massima di 170 km/h e di crociera di 145 km/h. La tangenza pratica, in volo traslato, era di m 3.400, mentre il serbatoio carburante conteneva 525 litri che permetteva una autonomia di soli 300 km. Il getto propulsivo a freddo dei rotori ha dimostrato le sue felici caratteristiche solo su elicotteri di piccola dimensione, come appunto lo “Djin”, costruito in 178 esemplari a partire dal dicembre del 1953, che poteva caricare un pilota ed un passeggero. Alcuni esemplari sono ancora oggi attivi, tenuti in perfetta efficienza da appassionati amatori del volo d’epoca, di cui uno in Italia. Al contrario dell’elicottero d’oltralpe, quello italiano disponeva di un rapporto potenza-peso, assai superiore, ma data la complessità della formula, gli esperimenti si interruppero poco tempo dopo. Con questo elicottero la Fiat ebbe modo di cimentarsi anche nel campo dell’ala rotante, e per alcuni anni proseguì con lo studio e la progettazione di altri modelli di elicotteri, come il Fiat 7005, rimasti solo sulla carta e che non videro mai la luce. Purtroppo l’elicottero Fiat 7002 venne smantellato, ed ora rimangono solo alcuni pezzi, tra cui le due pale del rotore ben preservate all’ITIS Grassi di Torino.
Di Luigi Perinetti e Giancarlo Colombatto
(per gentile concessione di Cose Nostre)